L’illusione a lungo protratta
di somigliare a un bronzetto italiano
è una solitudine cupa
nella mia galleria d’arte bruta.
Le lamine metalliche rivestono
l’esoscheletro idolatrico,
la mia religione naturale
è un teatro di cartilagini
dentro le nostre articolazioni,
nei rapporti oscuri tra pittori e scultori.
La corsa dell’anima appariscente
è un motociclismo vichiano,
un soffione pestifero che muore
lontano dalla mia lunga gittata.
E sembra d’avere
una lingua mobile
per l’uso devozionale.
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