29 giugno 2009

Navi senza fine





tu trascini le nostre vacanze,

tu trascini le nostre anime nei fondali

consumati, senza un attimo di respiro

non hai ieri non hai domani

tutto è ormai nelle tue mani,

o portuale commerciale

nelle tue navi, navi grandi,

navi senza fine...

non mi importa della luna,

non m’importa delle stelle,

tu per me sei sole e cielo,

grana nelle nostre tasche

tutto quanto voglio avere,

tutto è ormai nelle tue navi,

navi grandi, navi senza fine...

Augh, viso pallido, Riserva senza fine,

denaro senza riserve,

dò le mie pepite nelle tue mani

grandi, mani senza fine...

Un proiettile d’oro

sparami nel petto

vivo senza domani

ti dò le mie pietre bianche

da guardare e da toccare,

palle e mazze da golf

nei prati delle tue navi,

navi grandi, navi senza fine...

sparami al petto, che

io possa ancora vivere

tutto quanto voglio avere,

senza ieri, senza domani

senza un attimo di respiro

navi grandi, navi senza fine...



Canzone d'amore veneziana dedicata a Paolo Costa Crociere.

Odi veneziane





Venditore palestrato, come un fiore da cogliere per la strada dalle ragazze americane, vendi le tue cianfrusaglie, le tue bazzecole in una specie di poltriccio armato, quasi come una chiocciola ti porti a dormire la sera. Sogni il desiderio di diventare un divo del cinema pornografico, tutto questo è il tuo mondo di cartapesta dipinta e laccata stile rococò per il carnevale delle signore. Le tue coserelle tintinnano lungo la calle stretta sotto le braccia forti, servite al momento opportuno per la sola fatica del giorno. La tua carrozzella imbacuccata, la tua bacheca di ninnoli arriverà nella rimessa impantanata dai topi di fogna, le tue mani lastricheranno la strada pisciosa, il boulevard del successo erettile; sei il membro di questa società virile, l'agente segreto dei bucanieri, il successore dei coccodrilli dalla pelle di pitone. Ambulanza dell'abbondanza, i tuoi ostacoli sono solo ambulanti caduti in schiavitù.




Grande nave del porto venuta dalle terre polari, hai visto l'Eisberg sciogliersi di pudore ed il maelstrom urlarti improperi e gettarti le maledizioni di Odino per aver lasciato i fiordi ed esserti concessa il viaggio per Citera. Le turbine assecondano i suoni di Pan e le molte eliche impazziscono di vedere i marmi del Partenone vandalizzati dai veneziani. I comignoli venerano le cupole della basilica, en passant, con la solenne scoreggia del vichingo, le genti giocano a tennis sui terrazzi babilonesi, come giardini dell'eden, oltre i campanili bizantini, sopra i sindaci gotici spruzzati di tessere luminose. Le ammissioni a bordo superano le previsioni, i mosaici sono portati a spasso nelle bluse marinaresche, i vetri ammiccano tremolando ai borgorigmi del tuo ventre, lo statista locale saluta gli imbarcati come un Comintern in vacanza, le chiome bionde sventolano tra arie chimiche, gli occhi azzurri guardano i leoni alati sfaldati, sfegatati, uno sfintere di acqua salmastra da superare per Citera, oltre i lazzaretti, oltre le secche, via, via da questa peste, melensa cineseria.




Vaporetto. Una ambizione di progresso ecologista, un motore ad acqua bollente dentro un vascello fantasma si aggira in tutte le viscere della città per il trasporto di anime belle. E vecchi rancorosi pieni di fiele verso l'esotismo proteiforme e prolifico di giovinezze fanno dell'impulso criminoso l'unica ragione per continuare a navigare e vincere la morte. Vaporino, un dispositivo per infiltrare il virus dell'omicidio rituale e generazionale, dunque il genocidio dei giovani da parte dei vecchi in uno spazio chiuso e isolato, ma vagante. Il vaporino vaporizza di gas esilarante i suoi passeggeri, induce a delle allucinazioni, propaga una psicosi di massa, un ammutinamento, un assalto alle navi da crociera, l'arpionamento e il cannoneggiamento, infine la presa del bottino e il sollazzo nelle grandi hall e nelle piscine, quando fa molto caldo nel Canale della Giudecca. Come in un vagone piombato, in un container libico, la nostra nave del deserto ci porta a destinazione, agitando le acque, solcando banchi di alghe fosforescenti, speronando pontili fradici, sciogliendo i grassi, disfacendo i trucchi, i tranelli e le illusioni delle nostre vite.




27 giugno 2009

Foresteria






Parlo con falsi amici per dirti

un motivo privato dal cuore,

forse l'amore, che resta opaco

dietro un paravento di lemmi

impauriti sotto la tua burocrazia,

e la speranza si spende nei toni

erronei come peccati puri,

infranti i registri duri e i modi

pii del messale lessicale...


Vale forse un'altra letteratura,

un'altra impalcatura di noi

un assunto nuovo che lavora

al senso oltre al numero quinto,

che varca una stanza della tua vita

cui a tutt'oggi la chiave non risulta

nel palmo della mia mano.





8 giugno 2009

Discorso d'amore ad un'amante ansiosa




L'idillio sopraelevato copre di candore tutti i capi delle anime in un manto di splendore che dura il fiato di un pensiero ma non di una parola, perché è già passato come un guizzo di atomi, un lucore argenteo in una vita spaesata. Io che vedo l'orizzonte chiamarmi in ogni stanza, al di là di ogni muro ombroso, come si vede sullo sfondo della laguna la verità di una persona nel solo sguardo che dà al moto ondoso, se disperata, ansiosa o semplicemente quieta, salmastra e un pò arida, ma di una aridezza che stà muta e vuota perché parla con il mare, i pesci invisibili, le fronde melmose di piante inabissate in una vita oscura e privatissima. Che dire delle tue parole, delle tue non parole, dei gesti delle tue parole, i tuoi verbi che chiedono, una volontà ansiosa, senza cura, povera di saluto, con un saluto noioso, cerimonioso e fin troppo vanitoso, senza vaquità buona, solo povera e affamata. E come insegnarti qualche modo, qualche stile di pensiero e di dolcezza che dà e non chiede ancora, che stà con il mondo e lo segue senza speranza, perché è tutto realizzato, senza incomodo, e resto. E che dirti ancora un ti amo, una frusta carezza - lascia stare le cose come si mettono tra noi, non portare via niente, il niente è un resto che ti sopravanza, ti stà addosso, e la fortuna ci ride e non te ne accorgi, sei sempre altrove non vedi la felicità delle piccole cose e di quelle troppo grandi che ti lasci alle spalle. La felicità troppo grande che non ci si accorge passare ed è già stata e stà arrivando, è solo adesso. Questo ridere che bisognerebbe avere la forza di tenere ogni minuto, anche nel sonno e nei sogni accade sempre e non lo apprezzi fino in fondo presa come sei dall'affrontare i fantasmi dei tuoi incubi le chimere le illusioni di quella che non sei mai diventata per gli altri.. Io sono e non sono, sono un altro ancora da quello che ci si aspetta, eppure ritorno a essere lo stesso, e vedo che questo ti fa impazzire, così la stanchezza di dover parlare sopraffà il desiderio di parlare e ascoltare - dagli spunti agli spunti e ancora spunti per continuare.. Ma ora non ci sono più spunti, non si accendono nuove protensioni, prospettive, solo vittoria e vittoria, neppure una sconfitta felice del senso.

Ribaltami le cose, non distruggere, rifà in pose nuove, cambia voce, usa un basso, una corda, non imitarti. Passa una nuova mano, fermati un poco, non rilanciare, abbassa lo sguardo ai piedi, dove ti stanno portando? Camminassi nel deserto, faresti un giro intorno al vuoto di te stessa che brama il potere del nulla, tornando al punto di partenza non avresti guadagnato che tempo perso; minuti buttati nello spazio di questa terra che gira nella meta ultima di girare e alternare stagioni felici. Una vita di minuti che sono serviti a invecchiarti senza altro resto che tracce nella sabbia; un vento le cancella per un motivo ironico insito nel mondo.


Non siamo fatti per migliorare in tutto, non siamo neppure nella volontà. Siamo stati e siamo e poco ci basta per aspettare di vedere quello che il caso ci offre nelle mani e gli altri ci danno in consegna. Non è un bene giudicare sui peccati della nostra ira che crediamo essere degli altri. Un credere così non si addice alle scimmie del linguaggio che siamo riusciti fuori in questi millenni. Che storia fantastica la nostra, che bel lucore nello spazio scintillante di gas tropicali, esotici, rossi e gialli, blu e viola come petardi incancreniti e messi lì con gli spilli che ruotano invano attorno a un buco divino. Che risoluzione prendere ora del nostro amore che fa a botte con il tempo, le divinità fasulle e i tiranni dell'inconscio? Che dire a quel buco di energia sperperante delle nostre stralunate balzane pretese di essere amati? Che logorroica sborra siamo per dettare le condizioni del riconoscimento universale? Desistiamo e restiamo a guardarci nudi.