8 giugno 2009

Discorso d'amore ad un'amante ansiosa




L'idillio sopraelevato copre di candore tutti i capi delle anime in un manto di splendore che dura il fiato di un pensiero ma non di una parola, perché è già passato come un guizzo di atomi, un lucore argenteo in una vita spaesata. Io che vedo l'orizzonte chiamarmi in ogni stanza, al di là di ogni muro ombroso, come si vede sullo sfondo della laguna la verità di una persona nel solo sguardo che dà al moto ondoso, se disperata, ansiosa o semplicemente quieta, salmastra e un pò arida, ma di una aridezza che stà muta e vuota perché parla con il mare, i pesci invisibili, le fronde melmose di piante inabissate in una vita oscura e privatissima. Che dire delle tue parole, delle tue non parole, dei gesti delle tue parole, i tuoi verbi che chiedono, una volontà ansiosa, senza cura, povera di saluto, con un saluto noioso, cerimonioso e fin troppo vanitoso, senza vaquità buona, solo povera e affamata. E come insegnarti qualche modo, qualche stile di pensiero e di dolcezza che dà e non chiede ancora, che stà con il mondo e lo segue senza speranza, perché è tutto realizzato, senza incomodo, e resto. E che dirti ancora un ti amo, una frusta carezza - lascia stare le cose come si mettono tra noi, non portare via niente, il niente è un resto che ti sopravanza, ti stà addosso, e la fortuna ci ride e non te ne accorgi, sei sempre altrove non vedi la felicità delle piccole cose e di quelle troppo grandi che ti lasci alle spalle. La felicità troppo grande che non ci si accorge passare ed è già stata e stà arrivando, è solo adesso. Questo ridere che bisognerebbe avere la forza di tenere ogni minuto, anche nel sonno e nei sogni accade sempre e non lo apprezzi fino in fondo presa come sei dall'affrontare i fantasmi dei tuoi incubi le chimere le illusioni di quella che non sei mai diventata per gli altri.. Io sono e non sono, sono un altro ancora da quello che ci si aspetta, eppure ritorno a essere lo stesso, e vedo che questo ti fa impazzire, così la stanchezza di dover parlare sopraffà il desiderio di parlare e ascoltare - dagli spunti agli spunti e ancora spunti per continuare.. Ma ora non ci sono più spunti, non si accendono nuove protensioni, prospettive, solo vittoria e vittoria, neppure una sconfitta felice del senso.

Ribaltami le cose, non distruggere, rifà in pose nuove, cambia voce, usa un basso, una corda, non imitarti. Passa una nuova mano, fermati un poco, non rilanciare, abbassa lo sguardo ai piedi, dove ti stanno portando? Camminassi nel deserto, faresti un giro intorno al vuoto di te stessa che brama il potere del nulla, tornando al punto di partenza non avresti guadagnato che tempo perso; minuti buttati nello spazio di questa terra che gira nella meta ultima di girare e alternare stagioni felici. Una vita di minuti che sono serviti a invecchiarti senza altro resto che tracce nella sabbia; un vento le cancella per un motivo ironico insito nel mondo.


Non siamo fatti per migliorare in tutto, non siamo neppure nella volontà. Siamo stati e siamo e poco ci basta per aspettare di vedere quello che il caso ci offre nelle mani e gli altri ci danno in consegna. Non è un bene giudicare sui peccati della nostra ira che crediamo essere degli altri. Un credere così non si addice alle scimmie del linguaggio che siamo riusciti fuori in questi millenni. Che storia fantastica la nostra, che bel lucore nello spazio scintillante di gas tropicali, esotici, rossi e gialli, blu e viola come petardi incancreniti e messi lì con gli spilli che ruotano invano attorno a un buco divino. Che risoluzione prendere ora del nostro amore che fa a botte con il tempo, le divinità fasulle e i tiranni dell'inconscio? Che dire a quel buco di energia sperperante delle nostre stralunate balzane pretese di essere amati? Che logorroica sborra siamo per dettare le condizioni del riconoscimento universale? Desistiamo e restiamo a guardarci nudi.




1 commento:

  1. Resistere nella polarità delle posizioni contrastanti, pur nell'incomprensione e nella derisione, nella buona e nella cattiva sorte. E il tuo 'non dire' dice più di quel che vorrebbe. Il mio 'non dire' invece desiste dalla sistematicità di un discorso amoroso che si innalza e si inabissa in cicli alternati, che vorrebbero portare la corrente nel deserto a dissetare i cammelli e a girare le pale di un mulino inesistente, a rinvigorire le oasi appannaggio dei miraggi, a scavarsi la fossa con le proprie ossa e per le proprie ossa, mucchietto di polvere nella polvere, pateticità della vita (in)esistente se questo è il suo futuro! Desistere è la cifra di una possibile relazione. Desistere. O scavare meglio nel profondo delle proprie pulsioni e comprendere da dove proviene allora quella forza. Da quali energie sono attratte le nostre incompetenze. E sporcarvisi le mani, con quelle energie. Farci qualcosa con il proprio estro, e dire qualcosa con il proprio parlare. E guardare se ci è dato vedere, ascoltare se ci è dato sentire. E cercare, se ci è dato chiedere. O desistere.

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