24 maggio 2008

storia di feci e non feci

E’ sempre  sugli ospedali che cade la nostra attenzione. Io, che ho raccolto il voto tra i malati, ma come presidente di seggio mobile, quest’affare lo conosco di traverso. Ma se a raccogliere i voti fosse invece qualcuno del personale paramedico o medico, ma non per l’imminente scrutinio della scheda, ma così detergendo una fronte madida un giorno, mostrando interesse per  un decorso  post-operatorio l’altro , magari abbozzando un sorriso qua e la e poi elargendo l’indicazione giusta, nel momento giusto, con l’assiduità certosina dell’artigiano politico, ebbene se questo fosse vero io chiedo alla platea del solo lettore dove sia il confine tra la dimensione privata della professione e quella pubblica del politico. Chi cerca d’essere l’eletto tra gli altri abbracciando questa prassi  mostra se stesso nella candidatura sotto ogni possibile riguardo che  a lui pare sia di vantaggio. Solerte nell’aiutare il bisognoso, generoso e altruista, capace di individuare e risolvere problemi. Ma nulla di più efficace vale che il mostrare ciò che noi tutti intendiamo come “ciò che egli è”. E per quanto oscuro possa essere quell’”è”alla fin fine nella pratica ci affidiamo a quello per decidere, laddove è ancora possibile decidere in tale maniera. Ora se è le cose stanno così l’individuo in cerca d’elezione o eletto va colto a 360° e non a 180° a meno che non si voglia sia l’elettore essere colto a 90°. Se in questa prassi, in questa osmosi, nella sfera professionale si manifesta un incidente di percorso, una storia che esce anche in modo discutibile, una storia di feci e di non feci, allora questa storia entra dritta nel circolo di consapevolezza urbana che dovrebbe accompagnare un elettorato nel corso degli anni di gestazione del suo voto. C’è un modo preordinato affinché questa storia esca? No.Si può e si deve pretendere che il delatore dia le generalità e fornisca le date e i nomi ed ogni riferimento purchessia? Forse sì. Il giudizio di meschinità da affiggere sul delatore in questione è duro, ma ci può stare per intero e solo il foro interiore di chi scrive coprendo le pudenda identità conosce fino a che grado questo sia vero. Forse una meschinità ed una mancanza di coraggio sono e restano tali anche di fronte alla verità se si è scritto la semplice verità. Perchè vale anche in questo caso per chi scrive il fatto di inquinare con la propria condotta il fatto raccontato, prima che il “fatto” inquini lui. Una funzione privata indivisibile da quella pubblica che si manifesta nella lettura.

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