8 ottobre 2007

Prologo ad uno stile

Che cosa si propone d'incamminarsi nella nostra via d'espressione? Cosa e come scriviamo, perché scriviamo queste prose? Siamo portati a spintoni nell'attualità ma quando siamo in mezzo ai tram tutto si trasforma: è una forza più potente di noi quella che ci sconnette dalla realtà per vedere con l'occhio fisso sul fenomeno quello che si riflette nelle luci, nei nostri lumi. Le nostre luci; la credenza che avevano i classici, che dai nostri occhi partissero raggi luminosi sui fenomeni è per noi qualcosa da non sottovalutare: perché noi in fondo condensiamo quell'effluvio di desiderio in ogni cosa, lo trasfondiamo in canali di possibilità che scorrono per le nostre strade, e ci spingiamo dentro i nostri pensieri, nelle case nelle cose. Rivestiamo di una patina invisibile il mondo che usiamo e tutto quello che vediamo resta inevitabilmente contaminato da questo nostro strano metabolismo ultrafinito. 
Eppure, nessuno strumento vede ciò, nessun risultato di questo di più appare scritto sul mondo; e nessuna memoria, nessun segno di questo passaggio nel cosmo resterà, se non queste parole in linguaggi fuorvianti e maliziosi, forieri di demoni. Nessun segno se non in un serbatoio colmo di pensieri pensati ma vuoto di sostanza, e che si ricolma una volta di più appena i lumi riprendono a leggere le parole e pensare tutte le idee. Un intero mondo di ripensamenti, che si sorregge sopra le spalle di un Atlante senza forza, sopra niente, che sparisce e scompare in qualcosa che non è niente, che nasce da una storia che resta niente.
Pensate: tutto quello che noi siamo, tutto quello che noi guardiamo, sta in questo mondo fasullo che intermittente riluce ed esplode, un mondo che i suoi segni li confonde per sempre alla vista del Cosmo infinito, che si mangia il suo tempo, torcendolo nelle sue distanze abissali. 
Cosa è meglio fare allora? Scrivere per qualche studioso interplanetario di letteratura comparata? Attendere che venga un professore dalle porte di Orione con uno strumento semidivino che sia capace di recuperare tutti i nostri sbavamenti lasciati dai nostri lumi sugli oggetti esistiti nelle nostre vite? Recuperare i pensieri rimasti condensati nei volti delle persone che abbiamo incontrato, grattare la patina sottile, come un restauratore abissale sulla natura morta culturale, al di là delle interpretazioni rabdomantiche dei nostri cervelli? Uno strumento che possa entrare dentro i raggi posati dalle nostre luci, dentro lo smarrimento e il tormento che ci costringono a desiderare altre parole per le nostre orecchie assonnate. 
Lo psicanalista della cosmopista. Il patafisico sublime.

1 commento:

  1. Si tratta di un vero artista che riesce a trasmettere in modo convincente il senso di trovarsi faccia a faccia con l'origine dell'essere...

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